Da circa 50 anni assistiamo al disfacimento dei piccoli borghi e delle periferie che costituiscono l’ossatura del nostro Paese. Le une e gli altri consentono a chi vi abita di identificarsi con quel luogo, sentirsene parte. Questo senso di identità, costruito in secoli e millenni di storia, è ancora oggi fondamentale per costruire il futuro.
I piccoli paesi, soprattutto del centro Italia, si stanno spopolando in maniera irreversibile. Non è possibile che i pensionati di tutta Europa vadano in Portogallo o in Tunisia invece di venire in Italia, con le meraviglie che abbiamo.
Come arrestare questo fenomeno? Innanzitutto detassando le attività. Un piccolo centro muore quando il bar, il ristorante e il piccolo negozio di alimentari non si sostengono più. Imporre delle tasse a qualcuno che decide di vivere, anche solo nei weekend, in questi piccoli borghi è una follia.
Le persone preferiscono abbandonare le case, anziché pagare le tasse nonostante abbiano deciso di vivere nei borghi.
E per lo Stato, guadagnare poco è comunque meglio di non guadagnare nulla. Quando poi i centri rifioriranno e torneranno a essere popolati, gli introiti torneranno ad aumentare.
Inoltre, non è più possibile proseguire nel disfacimento delle periferie dei grandi centri. Invertire questa tendenza significa favorire la mobilità sociale, anche per gli immigrati. Se si ricostituiscono delle periferie funzionali e belle, si aiuta non solo l’integrazione, ma anche il senso di appartenenza alla città, l’orgoglio di essere cittadino.
Il ripopolamento di piccoli borghi e periferie può determinare quindi una nuova ricchezza, riuscendo ad attrarre persone e risorse anche a livello internazionale. E gli strumenti possibili sono due: meno tasse e più bellezza. Il bello è l’unica ricchezza che rimane: se la periferia è degradata, se un borgo è abbandonato, non valgono più niente.
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