La situazione che il nostro Paese ha dovuto affrontare a seguito dell’epidemia da Coronavirus che ha colpito tutto il mondo, ha imposto una serie di riflessioni profonde sul come gestire le relazioni sociali e le conseguenze che cause esogene e imprevedibili possono avere sulle stesse.
Una delle realtà maggiormente colpite dall’isolamento forzato a cui tutti siamo stati sottoposti e dalla rottura di legami sociali più o meno stabili, è sicuramente quella dei bambini e ragazzi in età scolastica.
Secondo la rivista scientifica inglese The Lancet, la durata dell’isolamento è un fattore di stress: una durata superiore a 10 giorni è predittiva di sintomi post-traumatici, comportamenti di chiusura e rabbia. Soprattutto lo stress non si ferma dopo la fine dell’isolamento.
Per quanto riguarda infanzia e adolescenza, vengono riscontrati ed elencati i seguenti disagi: pianto eccessivo o irritabilità nei bambini piccoli; il riprendere a “fare la pipì nel letto”; troppa preoccupazione o tristezza; irritabilità e impulsività negli adolescenti; difficoltà di attenzione e concentrazione; l’evitare attività che prima li soddisfacevano; mal di testa inspiegabile o dolore al corpo; uso di alcol, tabacco o altre droghe (adolescenti); video dipendenza (internet & game addiction disorder).
I 24 studi riassunti da TheLancet identificano una serie di misure da attuare per limitare gli effetti di questi vari fattori di stress. Questi includono la creazione di servizi di supporto per aiutare le persone con ansia e depressione.
È evidente come questa situazione abbia portato alla luce un’esigenza sempre più pressante, e cioè la presenza di una figura di supporto psicologico all’interno del sistema scolastico, definita e regolamentata per legge e non lasciata all’autonomia dei singoli istituti.
Le scuole, ad oggi, hanno, infatti, la possibilità di avvalersi o meno di tali professionisti, attraverso accordi con le aziende sanitarie locali, con gli uffici scolastici regionali, con gli studenti e le loro famiglie ma è, appunto, una possibilità, una scelta.
L’Italia è rimasta il solo Paese europeo a non essere dotato dell’ormai necessaria figura dello psicologo scolastico.
Se è vero che in molte realtà scolastiche, in questi anni si sono sviluppate esperienze molto produttive costituite da centri di ascolto a supporto del delicato processo evolutivo dell’adolescenza, è altrettanto vero che l’emergenza sanitaria che ci ha travolti e che ha inesorabilmente modificato il nostro modo di interagire, necessiti di una scelta più coraggiosa e più strutturata.
Lo psicologo scolastico deve essere visto come figura “ponte” tra scuola e famiglia, scuola e servizi socio-sanitari, docenti e alunni, che sia in grado di riconoscere un disagio o potenziali patologie, un supporto al contrasto del fenomeno del cyberbullismo, ma anche un rivelatore di attitudini, interessi, stili cognitivi e soprattutto un punto di riferimento per l’adolescente. Una presenza non tanto e non solo in contesti emergenziali, ma continua, quotidiana, parte integrante del piano triennale dell’offerta formativa.
La scorsa settimana ho presentato un disegno di legge volto a ricavare dalla tragica pandemia da Covid-19 un’opportunità per regolamentare e a rendere stabile nelle reti di scuole associate di ciascun ambito territoriale, una figura fondamentale come quella dello psicologo scolastico, senza tuttavia sovrapporsi ad esperienze innovative già in atto in diverse scuole italiane, rispetto alle quali il disegno di legge non si pone in una logica concorrenziale, bensì sinergica.
Credo che questa, così come molte altre iniziative che si stanno sviluppando sulla scorta delle lacune evidenziate dall’emergenza vissuta, possa essere un’ottima occasione per ripartire con un passo diverso e per dimostrare che davvero da questa pandemia siamo usciti migliorati, più forti e più attenti ai bisogni dei più deboli.
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