Che la scuola italiana versi in una situazione a dir poco tragica non è una novità. Che l’emergenza Covid-19 ne abbia ulteriormente peggiorato le condizioni è cosa drammaticamente nota a tutti.
Il sistema di Didattica a distanza, con il quale migliaia di docenti e di studenti si sono dovuti misurare in questi ultimi mesi, e le non poche difficoltà riscontrate nel trovare la giusta via per far ripartire la scuola a settembre, hanno evidenziato ancor più quelle falle che da anni si cercano di tamponare senza però riuscire affatto a rendere stabile il ponte sul futuro dei nostri giovani.
Non sarà dunque la creazione dell’immancabile task force, o la nomina di Arcuri a commissario straordinario per la ripartenza dell’anno scolastico, a sanare magicamente la questione. Piuttosto è assolutamente urgente e necessario occuparsi di coloro i quali tengono in piedi tutto il sistema scolastico, ovvero gli insegnanti.
Il precariato nella scuola non è un mero problema occupazionale, ma riguarda il futuro di un’intera generazione.
Una generazione che avrà già abbastanza difficoltà nella creazione del proprio destino e alla quale stiamo fornendo un servizio scolastico decisamente non all’altezza.
Uno degli aspetti del precariato di cui si parla poco nel dibattito pubblico è quello relativo alla continuità didattica e al suo inevitabile impoverimento perché standardizzata in relazione alla sua stessa organizzazione limitata.
I docenti con incarico annuale, infatti, non conosco con sufficiente profondità quello che ha fatto il loro predecessore e, allo stesso modo, non posso immaginare cosa farà il loro successore. Questo obbliga a tenere un programma, e l’insieme dell’attività educativa e formativa, in un ambito più definito rispetto a quello degli insegnanti che hanno la certezza di concludere i cicli scolastici con gli stessi alunni. Con una maggiore continuità didattica le attività sono programmate su più anni ed è possibile spaziare e sperimentare modalità di insegnamento innovative, mettendo completamente a frutto le competenze dei nostri insegnanti. L’impossibilità di fare questo, per le costrizioni imposte dalla condizione di precariato, costituisce una mancanza d’arricchimento e un’impossibilità di accedere alla massima qualità dell’insegnamento, il tutto a spese degli studenti.
Senza precariato la didattica non solo ne risulterebbe migliorata sotto il profilo della continuità, ma gioverebbe di forti impulsi verso la riflessione autonoma, lo sviluppo di capacità e competenze, la definizione di abilità, la piena attuazione delle potenzialità insite nelle diverse attitudini degli studenti.
L’esperienza Covid potrebbe essere un’occasione per sanare una situazione che ci portiamo dietro da troppo tempo. Sono tante le iniziative che possono essere prese: lo scorrimento delle graduatorie GAE, l’indizione di concorsi per titoli, la stabilizzazione dei precari di terza fascia con 36 mesi di servizio, il chiarimento della posizione dei Diplomati Magistrali e tanto altro. Ma occorre iniziare in fretta, per troppo tempo il sistema scolastico non è stato preso nella giusta considerazione e siamo all’ultimo miglio utile per invertire la rotta.
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