La decisione del governo di chiudere bar e ristoranti alle ore 18:00 comporta enormi danni per un settore cruciale nell’economia reale del nostro Paese ma anche, nel lungo periodo, per la sanità stessa.
Il settore della ristorazione, al 31 dicembre 2011, annoverava 1,2 milioni di occupati (di cui il 52% donne), oltre 336.000 imprese di cui quasi un terzo gestite da donne e quasi un sesto gestite da giovani under 35.
In un Paese che annovera tra i principali problemi quello della disoccupazione femminile e giovanile, la scelta del governo di colpire bar e ristoranti aggrava questa situazione.
Tale scelta contrarrà enormemente questo settore e molti operatori saranno costretti ad uscire dal mercato. Le ripercussioni non riguarderanno solo la perdita di know how e di posti di lavoro, ma anche il funzionamento della nostra sanità, che con questo provvedimento si dice invece di voler tutelare.
Si consideri, infatti, che tra le fonti di finanziamento del nostro sistema sanitario vi è l’IRAP, la discussa imposta sulle attività produttive. Se le imprese saranno costrette a ridurre enormemente i loro fatturati, se non addirittura a chiudere, significa che ci saranno meno soggetti che concorrono con le loro imposte a finanziare la sanità stessa.
Colpire le imprese, in definitiva, contribuisce ad affossare nel lungo periodo il nostro stesso sistema sanitario.
Bisogna certo evitare di intasare le terapie intensive ma non bisogna nemmeno intasare le cancellerie fallimentari dei tribunali. Sarebbe stata opportuna, quindi, una diversa e più ponderata scelta da parte del governo.
Una scelta capace di coniugare la protezione della salute pubblica con la tutela delle imprese puntando sul contingentamento degli accessi piuttosto che sul totale lockdown commerciale, puntando su controlli e su pesanti sanzioni per i gestori che non rispettano le regole piuttosto che su un’indiscriminata penalizzazione per tutti gli operatori del settore.
Il governo ha, invece, deliberatamente scelto di colpire un intero settore produttivo per coprire la propria incapacità di far rispettare le regole. Così ha creato un dramma economico, sociale, occupazionale e, in ultima analisi, anche sanitario.
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