L’Italia ha bisogno di abbassare le tasse per rilanciare investimenti e crescita. Su questo siamo tutti d’accordo, ma per farlo occorre risparmiare sulla spesa pubblica.
Inoltre è necessario ridurre gradualmente il debito pubblico rispetto alla dimensione dell’economia, cioè rispetto al Pil. Se manteniamo un rapporto deficit/Pil intorno al 2-2,2% – come abbiamo visto in questi anni – non saremo mai in grado di ridurre il nostro debito a una velocità adeguata. Occorre ridurre il deficit pubblico e per farlo è essenziale riavviare il processo di crescita attraverso riforme strutturali (meno burocrazia, giustizia civile più rapida, servizi pubblici più efficienti e abbassare le tasse) e approfittando della naturale ripresa ciclica dell’economia europea nel contesto di tassi di interesse bassi.
Se il Pil riprende a crescere, occorre però poi resistere alla tentazione di spendere immediatamente i ricavi provenienti dalla maggiore crescita: congelando la spesa pubblica (in termini reali, cioè di potere d’acquisto), la crescita naturale delle entrate in linea con il Pil reale porterà nel giro di tre-quattro anni al pareggio di bilancio, cioè all’uguaglianza tra spesa pubblica ed entrate. Il debito smetterebbe di crescere in termini di euro e si ridurrebbe in rapporto al Pil a una velocità adeguata.
Quindi per risolvere la questione del debito pubblico non è neppure necessario tagliare la spesa: basta tenerla costante. Se però contemporaneamente (anche per facilitare il processo di crescita) vogliamo abbassare le tasse, lo sforzo deve essere maggiore: diminuire la spesa di 2-3 punti percentuali di Pil nel giro di un triennio.
Non illudiamoci che questo risultato si possa raggiungere solo toccando poche voci: ogni settore deve dare il proprio contributo. Escluderei solo pubblica istruzione, cultura e ricerca, sia perché in prospettiva favoriscono la crescita, sia perché investiamo già troppo poco in questo campo rispetto agli altri Paesi europei. Sulla sanità si è già intervenuto negli ultimi anni, anche se forse un po’ di spazio esiste anche in quell’area. Non si può trascurare, vista la sua dimensione, l’area della spesa degli enti pensionistici, dove i risparmi dovrebbero concentrarsi su chi ha beneficiato in passato di trattamenti non coerenti con i contributi versati.
Riguardo alla spesa per beni e servizi e personale, è facile dire di voler “ridurre gli sprechi” ma dietro a questi sprechi ci sono scelte difficili da compiere e forti opposizioni da superare. Con interventi mirati nell’area degli acquisti di beni e servizi si può arrivare a risparmiare dai 3 ai 5 miliardi.
In generale, è necessario che la politica faccia le proprie scelte e che i sacrifici richiesti siano giustificati all’interno di un piano complessivo da presentare ai cittadini, che ne sottolinei anche i vantaggi (riduzione delle tasse), essendo consapevoli però del fatto che nessuna misura potrà mai essere accettata tranquillamente da tutti.
Comments on Post(1)
Stefano Tombolini
Credo sarebbe interessante quanto necessario approfondire il ragionamento sull’ efficienza nella pubblica amministrazione. Studiate criteri di misurabilità delle performance per capire se in effetti la campagna assunzionale a livello centrale e degli enti locali sia giustificata.