Oggi si parla di autostrade in relazione soprattutto alle patologie del sistema, come nel caso di Atlantia. Non è in discussione, però, la possibilità di una legge organica sulle concessioni autostradali. Essa risulterebbe invece opportuna, dato anche che questa materia è ospitata impropriamente nel codice degli appalti.
Se vogliamo che questo Paese non discuta di autostrade solo quando succedono le disgrazie, dobbiamo mettere mano alla legge.
Oggi i concessionari recuperano i costi di manutenzione e investimenti attraverso la riscossione dei pedaggi, rendendo opaco il margine di guadagno e il reimpiego della somma. Possiamo invertire questo meccanismo, seguendo l’esempio applicato dalla Regione Veneto per la “Pedemontana”. In quel caso, attraverso un contratto di disponibilità, il concedente pubblico assegna al concessionario privato un canone fisso che ripaga costi e attività, mentre trattiene per sé il controllo e la riscossione delle tariffe.
Riportando questo esempio a livello nazionale, si potrebbe istituire un organismo unico, che gestirebbe i proventi tariffari di tutte le autostrade italiane per poi redistribuirle anche sulle concessioni meno remunerative. In questo modo, si riuscirebbe ad ammortizzare e rendere omogeneo il guadagno dei concessionari per l’uso delle infrastrutture, con le concessioni più ricche che alimenterebbero quelle più povere. Inoltre, la leva tariffaria resterebbe in mano al potere politico, come strumento di gestione della mobilità, del territorio e degli investimenti.
Un soggetto unico in grado di controllare tutte le autostrade sul territorio nazionale, insomma, riuscirebbe ad avere una visione d’insieme che inevitabilmente sfugge agli attuali concessionari.
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