Questo governo ha sempre tenuto un atteggiamento malevolo nei confronti delle imprese. La cultura della decrescita che contraddistingue il Movimento Cinquestelle, il filo che si riannoda tra Pd e Cgil, la marginalità di Italia Viva all’interno della maggioranza hanno fatto sì che l’assistenzialismo fosse il tratto principale delle misure di contrasto all’emergenza da Covid-19. Mentre ancora oggi discutiamo di giganteschi piani e di fantomatici Stati generali, senza che il premier e i suoi ministri siano in grado di indicare un piano coerente per la ripresa.
Sono caduti finora nel vuoto gli autorevoli appelli al dialogo e al coinvolgimento delle migliori energie del Paese, rivolti innanzitutto dal Presidente Mattarella e dal Governatore della Banca d’Italia Visco. Anzi, trapelano da Palazzo Chigi segnali di insofferenza verso qualsiasi forma di critica rivolta al governo, perfino di fronte a evidenti mancanze nella sua azione. I nemici da cui guardarsi sono un giorno le opposizioni, un altro determinate categorie, un altro ancora non meglio precisati “pezzi dello Stato”.
Tutti segnali di una pericolosa “sindrome da accerchiamento”, che sta spingendo il premier a fingere un’apertura al confronto, quando in realtà si chiude sempre di più nel Palazzo con i suoi fedelissimi.
Particolarmente grave è il fatto che questo atteggiamento si rivolga anche nei confronti di chi dovrebbe animare la ripresa, risollevando le sorti dell’economia e creando nuove possibilità di occupazione.
I comprensibili richiami di Confindustria sono tacciati di irresponsabilità e di preclusione nei confronti dell’esecutivo. Mentre il presidente dell’Inps (a che titolo?) trova il tempo di attaccare gli imprenditori in difficoltà, anziché fare i conti con le gravi carenze dimostrate dalla sua struttura in questi mesi – a scapito soprattutto di famiglie, lavoratori autonomi e piccole imprese – e con il fallimento del “suo” reddito di cittadinanza, che concede sussidi ma non possibilità di lavoro.
La sfida del rilancio e dell’ammodernamento del Paese può essere vinta solo se si considerano le imprese come alleate, non come avversarie. Lo vediamo anche nel caso dell’ex Ilva.
Il piano di riconversione dell’impianto di Taranto appare più che mai possibile, grazie alla flessibilità normativa e ai finanziamenti garantiti dall’Europa rispettivamente con la disciplina più permissiva sugli aiuti di Stato e con i fondi del Green New Deal. Eppure questo governo è riuscito a ingarbugliare la matassa, abolendo lo scudo penale (decisione esemplare del pregiudizio contro un’impresa che investe) e concedendo ad ArcelorMittal l’alibi per rimettere in discussione gli impegni già presi.
Oggi è sempre più complicato riportare indietro le lancette e la strada di una nuova nazionalizzazione dell’acciaieria ex Ilva rischia di essere illusoria, con buona pace dei lavoratori e del futuro di tutta l’area sul piano socio-economico e ambientale. Il governo deve pretendere da ArcelorMittal il rispetto degli accordi, sapendo però di essere stato il primo a infrangerli e per giunta con motivazioni esclusivamente ideologiche.
Qualsiasi tentativo di confronto che nasca su queste basi ha pochissime possibilità di riuscita, sia che si parli di un singolo stabilimento sia che punti alla ripresa complessiva del Paese.
Lascia un commento