C’è un tratto comune ai ministri grillini più importanti: sono totalmente sprovvisti dell’arte della mediazione, quintessenza dell’arte politica. Con alcuni casi di scuola.
Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è riuscito nella non facile impresa di far salire sulla stessa barricata avvocati e magistrati. E con loro giuristi, commercialisti, imprenditori, industriali, giornalisti…
I modi curiali non hanno impedito al ministro degli Esteri Luigi Di Maio di rendersi garbatamente inviso tanto agli Stati Uniti quanto alla Russia, senza per questo essere rispettato dalla Cina né considerato dalla Francia, che infatti si è fatalmente riavvicinata alla Germania.
In era gialloverde sul gradino più alto del podio svettava l’arruffato Danilo Toninelli, oggi sostituito senza rimpianti da una sgargiante Lucia Azzolina, mirabile esempio di rara sintonia tra forma e sostanza. Come sembra, così è. Chiusa, ostile, tetragona nell’aspetto; imperativa, aggressiva e sospettosa sul lavoro.
La circostanza, in effetti rara, di essere diventata ministro dell’Istruzione dopo esserne stata sottosegretario e di essere stata nominata sottosegretario all’Istruzione in quanto insegnante e sindacalista della scuola impedisce di ascriverla alla categoria degli incompetenti.
Ma quando manca la capacità politica, conoscere per esperienza diretta i problemi di un settore come la scuola non basta a risolverli.
Di qui lo stallo del decreto Scuola, la rabbia di insegnanti e studenti, le tensioni nella maggioranza, la necessità di una mediazione a palazzo Chigi che è servita solo a procrastinare i problemi e ad ufficializzare la marginalità del ministro.
Ma soprattutto la mortificazione della commissione Istruzione del Senato, che fino ad oggi non è stata messa nelle condizioni di discutere e votare un solo emendamento, e l’umiliazione del Parlamento, che questa settimana vedrà calare la fiducia su un decreto che non avrà avuto modo di valutare davvero.
Un disastro politico senza precedenti, reso ancor più urticante da alcune finte mediazioni che hanno avuto il solo effetto di aggiungere al danno la beffa. Come parlare di “meritocrazia” nella scuola imponendo un concorso mordi e fuggi basato su un test a risposta multipla, fortunatamente scongiurato. Come riversare sulle scuole paritarie una cifra miserabile pari a 173 euro per allievo, senza capire che il conseguente esodo degli studenti verso le scuole statali costerà miliardi alla collettività e finirà di ingolfare classi già sovraffollate.
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