Negli ultimi anni, la politica estera italiana è diventata sempre più affascinante e le nostre posizioni sulla Libia ne sono la dimostrazione. Oscilliamo tra l’improbabile e l’irrilevante, a seconda della parte politica che si trova al governo in quel momento. Mentre tutti gli altri Paesi si pongono il problema di dove vogliono andare, di quali sono gli obiettivi da raggiungere sul lungo periodo, noi siamo gli unici ad avere interessi nazionali che variano al variare dei governi.
In Libia, il centrodestra sostiene da anni che i francesi ci hanno obbligato a intervenire contro Gheddafi. Ma il fallimento della nostra politica estera non è stata la morte di Gheddafi, che sarebbe potuta avvenire anche in un altro modo indipendente dalla nostra volontà.
Il problema vero è che non ci siamo organizzati durante tutti gli anni del regime in Libia a preparare e ad affrontare cosa sarebbe successo dopo.
Dopo il 2011, noi abbiamo assunto inizialmente una posizione molto netta a favore di al-Sarraj. Poi, quando Haftar con le sue truppe dalla Cirenaica è arrivato alla periferia di Tripoli, abbiamo capito che avrebbe potuto vincere. Allora abbiamo abbandonato al-Sarraj: mentre gli sparavano addosso, la nostra unica reazione è stata quella di aprire un tavolo di trattative. E, per giunta, l’abbiamo fatto organizzare a Berlino.
Secondo la letteratura corrente, da quel tavolo saremmo anche usciti vincitori. Nella realtà, però, non c’è nessun cessate il fuoco, i turchi continuano a dare armi a Tripoli, dall’altra parte arriva il sostegno degli emiratini e dei mercenari russi. Questo è stato il risultato sul terreno libico del tavolo di Berlino.
Il mondo è cambiato, non è più quello dell’Ottocento. Dobbiamo prendere decisioni con grande rapidità e alla luce di equilibri complessi, con molti attori a svolgere ruoli da protagonisti.
La discussione sul 5G ne è un esempio. Ma anche in Libia è così. Ad esempio, perché la Turchia ha deciso di intervenire a sostegno di al-Sarraj? Perché la Grecia ha stretto un accordo con gli egiziani. E questo non certo per riscoprire il proprio interesse nazionale nel Mediterraneo, bensì perché spinta dai cinesi che gestiscono tutti i porti del Pireo.
In conclusione, io vorrei che l’Italia facesse le sue scelte, anche tutte sbagliate, ma a partire da un interesse nazionale condiviso e ben definito. Solo così possiamo pretendere di avere un posto a sedere ai tavoli internazionali e magari riuscire a dire la nostra.
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