Il terrorismo islamico, la crisi economica, i migranti ed oggi l’epidemia di Coronavirus: non c’è stata crisi globale che abbia visto l’Europa reagire compatta. La regola era ed è la solita, ognuno per sé e Dio per tutti.
Ne abbiamo la dimostrazione plastica in questi giorni. Nessuna autorità europea è stata in grado di imporre un protocollo sanitario unico per l’emergenza, ciascun partner ha mentito sul numero dei propri contagiati, tutti hanno bloccato le esportazioni in Italia di macchinari sanitari, alcuni hanno sospeso il trattato di Schengen e i collegamenti aerei col nostro Paese, la presidente della Commissione ha atteso 46 giorni prima di indirizzarci qualche parola di circostanza a mo’ di solidarietà, la presidente della Bce si è platealmente lavata le mani dei nostri problemi.
Sappiamo che problemi globali richiedono soluzioni globali e che chiudersi nei confini nazionali peggiorerebbe la situazione.
Ma se non vogliamo che un’Europa su modello Ponzio Pilato continui ad assicurare consensi elettorali alle forze sovraniste, creando così le condizioni per la propria dissoluzione, un cambiamento non è più procrastinabile.
La flessibilità dà sollievo, ma non cura. Occorre quantomeno dotare l’Unione europea di una propria capacità fiscale e introdurre al più presto quegli eurobond invocati da personalità diverse come Giulio Tremonti e Romano Prodi. Se ne parla da decenni, ma solo oggi se ne avvantaggerebbero tutti. Perciò: se non ora, quando?
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