Visto il periodo pasquale, possiamo dire che il governo – proprio come Ponzio Pilato – si sta lavando le mani di fronte alle scuole paritarie, contribuendo così a metterle in croce.
Si tratta di 12.000 scuole, con 867.000 iscritti e 150.000 dipendenti tra docenti e personale ATA. Scuole che, per legge, costituiscono servizio pubblico e sono inserite nel sistema d’istruzione pubblico nazionale.
Tali scuole, a causa del coronavirus, dovranno fare i conti con un’economia gravemente compromessa. Mentre la scuola statale riceve la copertura economica dello Stato, per le paritarie la copertura economica dipende fondamentalmente dalle rette e molte famiglie potrebbero non riuscire a pagarle.
Senza un intervento pubblico, le scuole paritarie saranno costrette a chiudere i battenti e lo Stato si dovrà fare carico di oltre 800.000 studenti con relativi costi conseguenti.
Si tenga conto che lo Stato risparmia circa sei miliardi l’anno, grazie all’esistenza delle scuole paritarie. Risparmi che non saranno conseguiti se gran parte di queste scuole dovessero chiudere.
Che fare, dunque? In primo luogo occorrerebbe stanziare due miliardi per finanziare la detraibilità totale delle rette sul 2020, provvedimento che darebbe alle famiglie la possibilità di continuare a pagare le rette, e finanziare altresì l’abbattimento dei tributi locali.
In seconda battuta occorrerebbe passare alla fase 2, ossia ripensare il finanziamento di tutto il sistema d’istruzione italiano (comprensivo di scuole statali e scuole paritarie), definendo una quota capitaria, un costo standard per studente, necessario per stabilire la somma da versare ad ogni istituto scolastico.
Così non solo si salverebbero le scuole paritarie ma si salvaguarderebbe pure il principio della libertà d’educazione, libertà fondamentale in ogni democrazia liberale degna di questo nome, realizzando un’effettiva e concreta parità scolastica.
Serve che il governo guardi a queste realtà e non si faccia guidare da retaggi ideologici non solo vetusti ma anche controproducenti.
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